venerdì 15 maggio 2009

Una giornata di un clandestino

Sono le 5, mi sono appena svegliato. I miei compagni dormono ancora. Metto su un po’ di latte e riscaldo il riso che mangeremo. Oggi inizia una nuova giornata, devo far presto per arrivare al solito angolo di strada sperando che venga il “caporale” e mi scelga per lavorare. E’ già una settimana che mi hanno promesso di chiamarmi ma ancora non ho trovato lavoro. Dicono che non parlo bene l’italiano e che quindi è difficile potermi spiegare cosa devo fare. Io ho buona volontà, cerco di studiare ma questi suoni che sento e che chiamano parole sono difficili. Sento dei colpi alla porta, voci dure che mi dicono di aprire. Apro e sono sbattuto contro il muro. I miei amici ancora mezzi addormentati vengono buttati giù dal letto.”Carabinieri, documenti subito”. Mi sembra di rivivere l’incubo da cui sono scappato. Qui non c’è la guerra, eppure i modi di costtoro sono uguali a quelli dei miliziani. Hanno le stesse divise di quelli che quando ci vedono passare sui camion mentre ci conducono al lavoro, girano lo sguardo dall’altra parte e fanno finta di non vederci. Il mio caporale quando li incontra li saluta e ci dice di non preoccuparci, perché “sono amici”.Perché oggi ci trattano così? Hanno buttato tutte le nostre cose per aria, e questa stanza di 50 mq che divido con altri tre miei compagni, sembra un campo di battaglia. Ci portano su di un furgone, ho paura e leggo la stessa paura negli occhi dei miei compagni. Mentre mi conducono in caserma, ripenso a tutto quello che ho affrontato per venire qui. Ho solo 16 anni e mi sento un vecchio. Ricordo ancora quando vennero gli uomini bianchi buoni e mi promisero che per me ci sarebbe stato un futuro in Italia. Italia..dov’è l’Italia. Io conosco appena qualche villaggio qui vicino ed il più vicino è a 20km dal mio. L’italia è dopo il mare. Il mare…. Ho passato la notte prima della mia partenza con mia madre che mi guardava e tratteneva le lacrime. Siamo partititi ch’era ancora notte, ci abbiamo messo un mese per arrivare al mare. Eccolo, è la prima volta che lo vedo. Ci hanno caricato su di una barca, tutti insieme e siamo partiti. Chissà se il mio dio è potente pure qui. Io so che mi protegge sulla terra, ma queste onde che ci sbattono riuscirà a fermarle? Sono due giorni che siamo in viaggio, no è solo mezz’ora. Siamo arrivati. Ci portano in uno stanzone, ci urlano e ci prendono le impronte, Ci dicono cose che non capiamo e ci stanno dicendo che abbiamo “contravvenuto alle disposizioni previste dall’art…..della legge…”. Ci fanno aspettare in una stanza . Quanto tempo è passato? Provo a chiedere dell’acqua, ma non mi rispondono. Il tempo passa. Ecco si riapre la porta, forse è finita. No, ci spintonano su di un nuovo furgone. Ripartiamo. Non è più il rumore del mare, è il traffico. Andiamo verso Napoli. Ci portano in Questura. Ci fanno scendere, davanti a noi facce di persone compiaciute che ci guardano come criminali. Ci fanno scendere e ci portano in una nuova cella. Forse adesso ci daranno da mangiare e da bere. Sono stanco, sono passate ore e nessuno che ci dica che cosa succederà. Forse fuori i mie amici avranno saputo, forse adesso arriverà qualcuno che parla la mia lingua ed a cui potrò dire che non ho fatto niente di male, che sono qui perché cercavo un lavoro. Fuori, fuori mi sento ancora come quando viaggiavamo chiusi nella stia nella nave. Ho sete, ho fame, qui continuano a guardarmi come se fossi un criminale. Dove sono gli altri miei compagni? E’ finita, sono le 19,20, ho ancora fame e sete, ma sono fuori. Ho un foglio che dice che sono un indesiderato, che devo andare via, che devo ritornare nel mio paese. Non posso tornare sconfitto. I miei familiari hanno mandato me perché ero il più forte, perché potevo aiutarli. Non torno. Resto clandestino.

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